Le strade militari, un museo all’aperto

Pressi Colle Vallette

Riproponiamo un articolo di Mauro Minola sulle strade militari dell’Assietta, che fu pubblicato in occasione del passaggio del Giro d’Italia sul Colle delle Finestre nel 2015

Il Giro d’Italia in Valsusa è riuscito far conoscere al grande pubblico il Colle delle Finestre e la Strada dell’Assietta. Due strade di origine militare, realizzate tra la fine del XIX secolo e  i primi decenni del successivo a servizio delle numerose fortificazioni situate sul crinale Dora-Chisone. La Città Metropolitana di Torino, proprietaria delle rotabili, intende ora valorizzarle con lavori di manutenzione e un’attenta regolamentazione che concili la percorribilità con le attività economiche presenti sul territorio. È fuor di dubbio che siano principalmente i cicloturisti ad apprezzare le iniziative per la valorizzazione delle strade di alta quota; tanto che qualcuno ha persino pensato di riservarle esclusivamente a questa categoria di fruitori. Ci sono però altre buone ragioni che depongono a favore di un miglioramento dell’accessibilità all’area di cresta che divide le due valli, cercando di raggiungere un giusto equilibrio tra un’opportunità di carattere turistico e le attività economiche che sono presenti in zona (ad esempio gli alpeggi), con il recupero di un importante patrimonio stradale, ambientale e turistico.

Una prima e buona ragione per salvaguardare le strade e l’intero territorio da esse percorso è di ordine storico: ormai è noto a tutti che sulla cresta dell’Assietta si è svolta, nel luglio del 1747, la più grande battaglia mai combattuta in Valle di Susa, sia per l’entità delle forze impegnate, che per l’elevatissimo numero di perdite di vite umane, i quasi cinquemila francesi che, al comando del cavaliere di Belle-Isle, tentavano di assediare il forte di Exilles. I loro resti, come hanno accertato anche recenti ricerche, sono ancora lassù, sepolti sotto i sassi e la cotica erbosa nelle praterie e sui declivi fra la Testa dell’Assietta e la lunga cresta che sale al Gran Serin: un grande ed antico sacrario militare che impone il nostro rispetto, ma che troppe volte viene profanato dai motociclisti tedeschi e italiani che salgono rombando fin sulla piazzola dell’obelisco o percorrono, incuranti di tutto, i sentieri a ridosso dei trinceramenti.

I poveri resti, sempre più degradati, sono le ultime tracce di uno dei pochi esempi di campi trincerati di alta quota del XVIII secolo: nel 1997, in occasione del 250° anniversario della battaglia, il Centro Studi per l’Architettura Militare del Piemonte, guidato dal generale Guido Amoretti, assegnò all’archeologa Gabriella Massa il compito di eseguire un rilievo accurato del campo trincerato, in vista di una futura valorizzazione storica dell’area. Il progetto si concretizzò in una pubblicazione e nella posa di una grande lastra di pietra all’Assietta, con la pianta a colori dei trinceramenti piemontesi. Ogni anno, la terza domenica di luglio, la Festa del Piemonte all’Assietta commemora il lontano avvenimento nella certezza che «il ricordo del passato è sempre fondamento e stimolo per costruire un buon futuro, in un orizzonte europeo ed internazionale».

Non lontano dalle vestigia settecentesche vi sono i resti delle fortificazioni elevate al tempo della Triplice Alleanza, tra il 1885 e il 1893: si tratta delle imponenti batterie del Gran Serin, del Mouttas e della Gran Costa, che hanno rappresentato l’evoluzione delle prime opere difensive. A vederle ora, ridotte a rudere, con i loro massicci terrapieni inerbiti, le piazzole deserte, i muri scheletrici in pietra degli edifici, non rendono per nulla dell’imponenza e dell’importanza che avevano alla fine dell’Ottocento, quando, per la prima volta, i genieri dell’esercito erano riusciti a progettare un campo fortificato di alta quota, portando sulla cresta tra Dora e Chisone decine di grossi pezzi di artiglieria, i cannoni da 149 G e i 120 G, quanto di meglio allora si poteva trovare in fatto di armamenti. Ma soprattutto erano riusciti a far sopravvivere i soldati e gli ufficiali al servizio delle batterie, dotandoli di ampi baraccamenti, di forni da pane, di cucine, di cisterne per la raccolta d’acqua, di efficienti e, per quei tempi, innovativi, sistemi di comunicazione con il fondovalle, tramite l’eliografo, il telegrafo e il telefono. È pur vero che la piazza militare dell’Assietta veniva impiegata solo nella bella stagione, perché in quel tempo le campagne belliche si consumavano soprattutto in primavera-estate, con una o due battaglie che decidevano le sorti del conflitto. D’inverno vi salivano soltanto le pattuglie distaccate dai forti di Exilles e di Fenestrelle per controllare che non vi fossero spie francesi in azione o che i montanari delle valli non avessero asportato materiali dai baraccamenti, come spesso accadeva. Le escursioni di queste pattuglie di bersaglieri e di alpini ebbero il grande merito di ampliare le conoscenze sui modi di affrontare la montagna d’inverno.

I segni incisi dai soldati che presidiarono le fortificazioni si scorgono ancora oggi sulle rocce accanto alle opere, in particolare presso il Colle delle Finestre e lungo l’antica rotabile attorno al Dente della Vecchia; per lo più i graffiti risalgono alla fine dell’Ottocento, con una miriade di nomi propri, citazioni, omaggi alla solita “Classe di ferro”, rozze riproduzioni dello stemma degli Alpini o dell’emblema dell’Artiglieria. Questi segni sulla roccia, a questa altitudine, hanno un elevato potere evocativo, simile  a quello emanato dai più antichi segni rupestri della preistoria o del medioevo; ci fanno immediatamente pensare a tutti i giovani venuti da chissà quale parte d’Italia, che passarono i lunghi mesi della naja a marciare su per i colli, i sentieri, le mulattiere di queste montagne, aspettando un nemico che – fortuna volle – non arrivò mai.

Non solo l’archeologia militare è padrona di questi colli: se dall’Assietta proseguiamo verso occidente, raggiungiamo il monte Genevris e il vicino Colle Costapiana, una zona assai interessante per l’archeologia classica perché la montagna era stata divinizzata dagli antichi abitatori dell’alta Valle di Susa. Nel 1933, poco sotto il valico, durante gli scavi per la realizzazione della stazione alpina sperimentale Vittorino Vezzani di Sauze d’Oulx, venne alla luce un cospicuo deposito votivo costituito da più di 400 vasi in ceramica e in terra risalenti al I e IV secolo d.C.. Almeno sei di questi vasi fittili graffiti, di foggia gallica e scritti in caratteri latini arcaici, erano dedicati ad Apollo. Altri vasi recavano il nome della divinità celtica Albiorix (o Albiorigius), un fatto importante ed unico, in quanto oltre ai ritrovamenti del Richardet, sino ad oggi sono state ritrovate solo due iscrizioni ricordanti questa divinità, entrambe fuori d’Italia. Assieme ai vasi votivi apollinei ne ven­nero pure trovati altri con incise delle M o N isolate, cubitali, che potrebbero appunto riferirsi alle dee anonime Matronae venerate sul colle del Monginevro e nella bassa valle, a Susa, a Foresto e a Malano di Avigliana. L’elevata quantità di reperti votivi ha permesso di ipotizzare che alla Chalp vi fosse la sede di un sacello sacro eretto in prossimità di sorgenti ferruginose-calcaree, sul pendio del monte Genevris.

Infine ci sono proprio loro, le strade militari, che sono delle vere opere d’arte, anzi preziosi reperti di archeologia militare, da conservare e da valorizzare in modo un po’ più attento di quanto sia stato fatto fino ad oggi. Negli anni Sessanta e Settanta quasi tutte le rotabili sono state infatti dismesse dal demanio militare e assegnate ai Comuni e alle Province. Enti che, non avendo grandi disponibilità economiche, non hanno mai potuto provvedere alla loro regolare manutenzione. Ben vengano quindi gli interventi di ripristino per la strada del Colle Finestre e la strada provinciale 173 dell’Assietta, ma che portino ad un serio restauro conservativo, in grado di mantenere per quanto possibile, intatte le caratteristiche dei manufatti. Questi tracciati avevano un fondo selciato e tale dovrebbe rimanere ancora oggi: diventa essenziale invece ricostruire ponti, fossi, muretti di scarpa e di controscarpa e quant’altro risulta danneggiato dalle ingiurie degli uomini e del tempo.

Insomma, come si può capire, abbiamo, sulla cresta Finestre-Assietta-Genevris, la disponibilità di un ampio Museo all’aperto che attende di trovare una giusta collocazione, anche su un piano meramente turistico: c’è da sperare che la Città Metropolitana torinese, regolamentando la circolazione sulle strade militari, lo renda accessibile a tutti, non solo ad una parte dei frequentatori della montagna; senza quindi compiere l’errore di privare del godimento di una ricchezza ambientale e storica ad una buona fetta di persone, anche a quelli che non hanno gambe buone per camminare, per riservarlo solo ad una ristretta classe di privilegiati. Sarebbe più giusto che la valorizzazione, come è già stato fatto in altre zone delle Alpi,  punti sull’educazione storico-ambientale, ma anche su una rigorosa sorveglianza, facendo in modo che chi sale alle alte quote, anche se in auto o in moto o sul “quad”, rispetti le vestigia del passato il delicato equilibrio ambientale, ultima risorsa per un turismo sostenibile.